Il maxiemendamanto alla Finanziaria ha differito gradualmente gli obblighi di tracciabilità  dei compensi di artigiani e professionisti. Ha mantenuto il principio, ma vigliaccamante dilatato i tempi di applicazione. Posto che sono a favore della imposizione per legge dei sistemi elettronici di pagamento per talune tipologie di rapporti di lavoro, per esempio quelli business to business o per i compensi elargiti dalle Pubbliche Amministrazioni, c’è ancora una cosa che non capisco.

Sulle modalità  ci si accapiglia, ma sui tempi tutti tacciono.  

Da quattro anni esiste una normativa [D.Lgs del 9 ottobre 2002 n. 231, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 249 del 23 ottobre 2002] che chiarisce il principio del pagamento delle prestazioni lavorative dei professionisti fissandolo entro 30 giorni dalla data di emissione della fattura. Eppure tutti se ne infischiano allegramente.

Ben vengano i pagamanti via Web, gli assegni e tutto quello che desiderate.. Ma se arrivassero per tempo, sarei anche più tranquillo visto che la Legge già  esiste senza maxiemendamenti.  

Il rapporto è certificato dall’Istat che il 15 dicembre ha emesso l’annuale indagine sullo stato del sistema pensionistico italiano e sulle prestazioni erogate. Attualmente in Italia lavorano 23.008.000 persone, mentre i soggetti che al 31 dicembre 2005 percepivano una pensione erano 23.257.000.

Il rapporto tra lavoratori e pensionati è dunque di 1:1.

Mi soprendono anche altri due dati, oltre al maggior numero di pensionati rispetto a quello degli occupati: 1) lavorare nel settore pubblico rende mediamente il doppio in termini di pensione percepita (è una media, certo, ma indica pur sempre qualcosa..); 2) il rapporto tra pensioni di vecchiaia e di invalidità  è impressionante per talune Regioni italiane che lascio a voi scoprire [Cfr. pag 7 e seguenti dell’ingagine Istat].

Per rimanere in tema, segnalo questa bella analisi di Maurizio Sorcioni sulla questione della flexecurity delle nuove generazioni. Come non condividere questo passaggio?

“La maggiore flessibilità  ha contribuito a far crescere l’occupazione, ma al tempo stesso penalizza i processi di transizione professionale dei giovani. Chi semplicisticamente difende la flessibilità  ci dice che i giovani non hanno voglia di lavorare e chi la rifiuta spera di abolire la legge. In realtà , la flessibilità  non solo non può essere abolita, ma è necessaria ai processi di innovazione. Ma poiché il mercato del lavoro italiano è rigido, sufficientemente corporativo e strutturalmente squilibrato, la flessibilità  si è scaricata sui soggetti meno garantiti dal lavoro stesso, i disoccupati di lunga durata e i giovani”.