Coworking. Un fenomeno che seguo da tempo, nella pratica e nella teoria. Una questione aperta, che tempo fa, insieme ad Adriana Nannicini, Sergio Bologna, Nicola Brembilla abbiamo cercato di portare sul tavolo del Comune di Milano per sensibilizzare la municipalità . Ne parlammo già in campagna elettorale, prima delle elezioni vinte da Pisapia. Tredici mesi dopo il Comune ha deciso, anche su suggerimento di ACTA, di portare avanti l’argomento, convocando i protagonisti delle iniziative in città e qualche ospite straniero.
Di seguito il mio intervento per esteso (in sala ne ho accennato soltanto in parte), scritto un po’ di corsa, in sostituzione di Sergio Bologna che oggi non è potuto venire a introdurre la giornata. Qualche riflessione generale, contaminata dall’esperienza di Berlino, e in coda alcune riflessioni molto personali su alcuni elementi tecnici legati a IMU e IRAP.
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We are the workforce of the future
The freelance surge is the industrial revolution of our time, l’emergere del mondo dei freelance è la rivoluzione industriale dei nostri tempi, ha scritto su The Atlantic Sara Horowitz, presidente dell’associazione di freelance più grande al mondo. Noi come ACTA, che abbiamo stretto un gemellaggio con la Freeelancers Union, proprio qui a Milano, lo ricordiamo spesso, nelle occasioni in cui ci invitano a parlare, e scritto in un Manifesto del Lavoro autonomo, che andiamo in giro per l’Italia a rappresentare anche attraverso un’opera teatrale. We are the workforce of the future €” dice la Horowitz – e non è un caso che i fenomeni paralleli più interessanti che si stanno verificando nel mondo del lavoro professionale autonomo siano da una parte la nascita di nuove forme di rappresentanza dei freelance – in Europa sono raccolte insieme ad ACTA nell’EFIP, associazione di associazioni, che dialoga con l’Unione Europea – e dall’altra l’emergere del mondo dei coworking.
Anni fa, Sergio Bologna scriveva che il postfordismo stava generando una “domesticazione” del lavoro. Portava i knowledge worker nelle loro case, ben attrezzate con PC e modem. Oggi assistiamo al fenomeno inverso, cioè alla necessità di riguadagnare spazio sociale per il lavoro autonomo. La nostalgia del posto fisso – come sostiene qualcuno – non c’entra. Chi va in un coworking non lo trova e neppure lo cerca. It’s not about place, it’s about people, diceva a novembre, a Berlino, Alex Hillman del celebre IndyHall di Filadelfia. Spesso si è costretti a cambiare posto, scrivania, città . Le persone, gli individui sono il cuore del fenomeno. I coworking sono spazi di transito e sosta, senza differenza. Sono luoghi dove lavorare, incontrare persone o clienti, perfino perdere tempo. Consentono di recuperare quell’umanità del lavoro che è fatta di contiguità , tempo condiviso, ozio creativo in collaborazione con altri, opportunità di relazione viva, prossimità . Curiosamente anche produttività , come ha certificato l’ultima ricerca di Deskmag.Continua a leggere