Sono quasi cento anni che esiste, l’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria fu istituita nel 1919, poi aggiustata nel 1936 con la Legge 1155. A partire dal 1988 l’indennità venne calcolata in percentuale sulla retribuzione (7,5%) poi il tasso di sostituzione è stato ripetutamente modificato (15% nel 1991; 25% nel 1993; 27% nel 1994; 30% nel 1996; 40% nel 2001; 50% nel 2005; 60% nel 2008). La platea di chi beneficia di questa protezione non è mai cambiata e corrisponde in sostanza al lavoratore standard (con eccezione degli apprendisti, in deroga però dal 2009) che rispetta due requisiti: 2 anni di assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione e 52 settimane di contribuzione nel biennio precedente lo stato di disoccupazione.
Se un lavoratore non è dipendente a tempo indeterminato, ma ha comunque versato contributi di eguale entità , niente. Zero sussidi. Per la mobilità il cerchio si restringe ulteriormente, non essendo prevista per somministrati, contratti di inserimento, apprendisti, e tutto il lavoro temporaneo. Per freelance e indipendenti, manco un biglietto pagato per fare il giro sulla giostra. Se non riesci a produrre reddito, arrangiati, affari tuoi.
La UIL ha dichiarato, analizzando le Comunicazioni Obbligatorie degli ultimi due anni (2008-2010), che il 73% dei posti attivati sono lavori a termine. Ora è sempre più chiaro come il Welfare del nostro Paese segua questa tendenza evolutiva: più garanzie ai garantiti, allo sbaraglio gli altri (che aumentano anche di numero) e per tutelare i primi è necessario allargare le maglie della flessibilità . E’ un accordo quadro sindacale a livello nazionale che nessuno avrà mai il coraggio di dichiarare, ma che a mio avviso esiste ed è a fondamento del Patto del ’93.
Oggi ne paghiamo le conseguenze. Mentre nel sistema europeo si cerca di allargare le potezioni dello Stato Sociale (si pensi al progetto tedesco associato all’Hartz IV, par alcuni versi fallimentare, ma pur sempre un tentativo) in Italia si restringono i margini del sostegno al reddito. La Fondazione De Benedetti (Tito Boeri & Co.) ha calcolato che il 43% degli italiani quando si parla di sussidio di disoccupazione, nel caso dovesse accadere di rimanere senza lavoro, si prenderebbe un calcio in culo.
P.S: Se interessa approfondire il tema dei sussidi per la disoccupazione si legga questo bel rapporto costruito da Veneto Lavoro: “Chi percepisce l’indennità di disoccupazione? Tassi di copertura e selettività dei requisiti richiesti” (.PDF)